“C’era una volta a ROma” presentE al bookCity di Milano

Sono felice di poter annunciare che il 19 novembre 20023, alle ore 11:00, il mio romanzo “C’era una volta a Roma” sarà presentato ad Anteo Palazzo del Cinema di Milano. Ringrazio Anteo e il Book City per avermi accolto. Con me saranno l’illustre professor Armando Fumagalli della Cattolica, l’attrice Cristina Chinaglia, che leggerà alcuni brani del libro. Modera Silvio Giobbio, autore di “Matalo1” Dizionario dei film western italiani. Vi aspetto! Manuel de Teffé

BonD STREET AWARDS WINNER

E così grazie a “C’era una volta a Roma” romanzo, riceverò a Londra il 7 Dicembre 2023 un Bond Street Awards. Ringrazio tutta la commissione del premio e sono onorato di questo riconoscimento che mi darà anche la possibilità di visitare la City dopo tanti anni di assenza. Grazie di cuore. Manuel de Teffé

La cavalcata di ottobre

Ringrazio tutti i lettori di “C’era una volta a Roma” e i loro continui messaggi pieni di entusiasmo ed affetto. Ho passato un’estate nuova a dialogare con tutti… Alcuni incontri assolutamente sorprendenti… Adesso siete voi che raccontate a me. Mai avrei pensato la quantità di relazioni umane che può scatenare un libro. Il romanzo inizia la cavalcata del mese di ottobre. Buoni anni 60 a tutti. Manuel de Teffé

“C’era una volta roma” – ANTEPRIMA DEL LIBRO A PALAZZO MERULANA

“C’era una volta a Roma”, il mio romanzo odissea ambientato nel 1965 sulle rocambolesche avventure che videro il teatrante Antonio de Teffé divenire l’Anthony Steffen delle tele, è stato finalmente presentato in anteprima a Palazzo Merulana, il 23 Giugno, durante un pomeriggio che oserei definire “storico”. Grazie a un Giorgio Pacifici (giornalista RAI moderatore dell’evento) in splendida forma, Patrizia Notarnicola e Benedetta Arena di Palazzo Merulana, siamo riusciti a riempire due ore serrate di commozione, divertimento e spettacolo… Sono particolarmente felice si aver potuto riunire due glorie del cinema western all’italiana: il leggendario regista Enzo G. Castellari e l’inossidabile Gianni Garko, che con i loro 180 anni hanno movimentato l’atmosfera, raccontandoci l’incredibile. Chissà dove hanno nascosto la loro età. Palpabile l’emozione generale, soprattutto quando la mia amica attrice Cristina Chinaglia mi ha onorato leggendo due brani del mio libro e Cesare Rascel ha improvvisato uno straordinario regalo cantandoci “Arrivederci Roma” del padre. Grazie, grazie, grazie a tutti! Manuel de Teffé

“C’era una volta a Roma”: Gli ANNI DELLA DOLCE VITA TRAVOLTI DALL’EPOPEA DEL WESTERN ALL’ITALIANA

Sono felice e commosso di poter annunciare l’imminente uscita del mio romanzo: “C’era una volta a Roma”, opera basata su una pagina di costume italiano mai narrata e adesso presentata, per la prima volta, in tutta la sua leggendaria impertinenza: i surreali anni in cui, come industria, noi italiani siamo entrati a gamba tesa nella narrativa americana iniziando a produrre film western con piglio garibaldino, come se non ci fosse un domani. Un po’ come se gli eschimesi si intestassero per un decennio la Pizza Margherita con struggente nonchalance.

Come depositario di un’epopea che vide Dolce Vita tingersi di West, ho deciso in questi ultimi due anni di domare una tempesta di ricordi impetuosi legati a questa follia: il western all’italiana, universalmente noto col marchio DOC di “Spaghetti Western”.

“C’era una volta a Roma” è un romanzo ispirato alle vicende artistiche e familiari di mio padre, Antonio de Teffé von Hoonholtz, attore romano di origine prussiana che, letteralmente a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, fu protagonista di ben 27 film western con il nome d’arte di Anthony Steffen. Django il bastardo, Pochi dollari per Django, Sette Dollari sul Rosso, Arriva Sabata, Apocalisse Joe e Un treno per Durango, sono alcuni tra i suoi titoli più celebri.
Nel Settembre del 2007, durante la retrospettiva organizzata da Quentin Tarantino al Festival di Venezia su questo genere, ebbi l’onore di presentare al pubblico Una lunga fila di croci del regista Sergio Garrone, presente in sala, e vedere per la prima volta mio padre sul grande schermo. Ammirare per la prima volta questo artista al cinema. Da quel momento, iniziai lentamente a rimettere insieme uno stormo di memorie fantasmagoriche legate alla nascita di questo filone cinematografico.

“C’era una volta a Roma” narra di un mondo che ho ricevuto in eredità: la Roma del 1965, la rivoluzione dello spaghetti western calata nella Dolce Vita, gli incredibili personaggi orbitanti attorno a quel periodo. Tutto ciò che ho visto, sentito, respirato e intuito sin da bambino, è qui, dentro questo libro. Tutti gli incontri ed avvenimenti più recenti della mia vita mi indicavano che dovevo iniziare a ricomporre quel mosaico inverosimile, che dovevo iniziare a svuotare il sacco… E allora, come ammonisce John Ford nel suo inequivocabile “PRINT THE LEGEND!” sul finale di The Man Who Killed Liberty Valance, ho deciso di sedermi, scrivere la leggenda e darla alle stampe. 

Ringrazio l’editore Michele Caccamo, che con la sua Readaction Editrice Roma ha creduto al libro a scatola chiusa su mio pitch telegrafico telefonico. I grandi maestri Enzo Castellari e Sergio Garrone, il mitico Terence Hill, e l’intramontabile Gianni Garko, i primissimi che ho fatto partecipi della storia e a palesarmi il loro entusiasmo. L’amico Andrea Girolami che, con le sue rassegne cinematografiche, mi ha fatto rivivere il sogno. Non stavo nella pelle, prima di iniziare l’avventura ho ritenuto di buon auspicio raccontarla subito ai protagonisti di quel tempo per una sorta di tributo affettuoso, per mettere al corrente “tutta la famiglia western” di un avvenimento in fieri, per avere la loro “benedizione”. Non dimenticherò mai le parole di Enzo Castellari (che mia ha anche regalato la postfazione del romanzo) quando, brillante e serissimo, ringiovanito davanti ai miei occhi di 50 anni dell’entusiasmo, esclamò: “… È la storia che tutti stanno aspettando!”

La storia? Eccola!

Siamo nella Roma del 1965, quando Roma era più grande di tutti gli anni ’60 messi insieme. Nel pieno della Dolce Vita e delle proteste contro la guerra in Vietnam. Per un Pugno di Dollari di Sergio Leone ha appena avuto un successo planetario e lancia un genere esplosivo: IL WESTERN ALL’ITALIANA. Il mondo del cinema è in fibrillazione: tutti vogliono salire sul carro del vincitore costruito dal regista romano… Sorgono, come funghi, improbabili case di produzione tutte desiderose di cimentarsi nella nuova moda; tra queste, la più scalpitante è “La 13 Maggio Cinematografica Srl”, ma anche un consorzio di lattai della Magliana non è da meno, con la sua pericolosissima “Chaos film”. La public relation manager dell’Hotel Hilton studia i mercati e cerca di convincere il suo uomo ad abbracciare il nuovo filone.
“C’era una volta a Roma” intreccia le vicende di un aristocratico attore teatrale shakespeariano che snobba il cinema da troppo tempo, di un guru della recitazione russa, un regista ebreo narcolettico e un anziano imprenditore con un ultimo grande sogno, quello di trasformare, prima di morire, il suo scombiccherato manoscritto nel western: “NIENTE DOLLARI PER DJANGO”.
Messi insieme dal destino grazie a una promessa perfetta, un tributo segreto sotto forma di film e un’irresistibile preghiera di abbandono, questi bizzarri individui iniziano a procedere imperterriti come le ferrovie della Union Pacific in costruzione verso la meta comune: la frontiera WEST in Almeria, il deserto spagnolo eletto a set universale dopo il capolavoro di Leone.

“Anto’, qui li vogliono zozzi e cattivi, tu che c’azzecchi col pistolero selvaggio?” Domanda l’agente infingardo al meno cinematografico dei suoi attori in scuderia, il barone Antonio de Teffé, tentando i tutti i modi di dissuadere il colto teatrante dal partecipare ai famigerati “provini per cowboy”. Di fatto mio padre, prima di divenire Anthony Steffen, visse una vera e propria odissea… nessuno, ma proprio nessuno, lo riteneva adatto a quel tipo di ruolo così “realista”, e a ragione… Allontanato da Sergio Leone, scartato ovunque per la sua postura troppo sofisticata e un taglio attoriale smaccatamente accademico, questo “dandy romano” alto un metro e novanta sembrava non avere niente a che spartire col mondo spietato dei rudi pistoleri americani… Finché un giorno, su stratagemma di mia madre, lo scapolone dei Parioli si fece scattare una grintosa foto in bianco e nero e la spedì a 50 produzioni capitoline con i francobolli dello Stato del Vaticano. Dietro la foto, un nome altisonante battuto a macchina su un’etichetta color panna:

ANTHONY STEFFEN – Actor –
Momentarily in Rome.
Represented exclusively by Tonya Lemons,
Hotel Hilton – Rome

Siamo nel 1965, ancora non c’è internet e di fact checker neanche l’ombra: quando i romani estrassero dalle giganti buste papali il volto grintoso di un uomo durissimo sotto uno Stetson a falde larghe e lessero il nome di un americano “momentaneamente” a Roma, si mobilitarono in massa per accaparrarsi quello che credettero una star d’oltreoceano a zonzo nell’ Urbe. E Antonio, che parlava un inglese da manuale, vinse finalmente il primo provino!

Francamente, non prevedevo di scrivere questo libro, non era in programma, è un romanzo letteralmente esplosomi dal cuore… un pezzo di cuore saltato su un pezzo di carta… 500 pagine che dopo aver consegnato, mi hanno visto steso su una poltrona a fissare per ore oltre la vetrata in salotto un punto imprecisato all’orizzonte, ansimante, senza nessuna espressione. Fino all’arrivo di una telefonata dal Sud Africa in cui l’inossidabile Corrado Passi, sensibilissimo scrittore e pilastro di Readaction editrice Roma, dopo un’ora in cui mi ripresentava, uno ad uno, tutti i personaggi dei mie 22 capitoli, mi dichiarò: “…Hai dato tutto”. Decreto che echeggia ancora nel salotto, come coccarda volante, dopo un anno e mezzo di scrittura non stop. Perché era vero. Perché non era un libro in programma, ma era un programma che mi aspettava al varco da troppo tempo e che è detonato in un momento impensabile, che guarda caso è stato proprio il momento opportuno.

Prima del covid, stavo lavorando con il produttore Carlo Macchitella a un film western da me scritto dal titolo “Django begins”. Ecco ciò a cui stavo veramente lavorando. Ricordo ancora che il buon Carlo ogni volta che arrivavo in produzione, alla sua Madeleine, mi faceva sedere al posto di comando, dietro la sua scrivania, per godersi la mia storia sdraiato sul divano… “La dobbiamo raccontare! La dobbiamo raccontare! Ma quanto ci costa! Quanto ci costerà?!” preoccupatissimo per gli investimenti già in atto sul suo film Diabolik… Insieme, alla fine non abbiamo raccontato più nulla, perché la pandemia ha messo tutto in attesa e Carlo è volato via troppo presto… Mi ricordo il suo entusiasmo e lo ringrazio per la sua gioia, per averci creduto per primo.

Così, con un film in stand by, paralizzato da lockdown planetari ma saturo di anni ’60, Dolce Vita e duelli assolati in Almeria, vedo aprirsi davanti a me una provvidenziale oasi artistica sconfinata, humus perfetto per far brillare una storia mai narrata, un decennio del costume italiano che ancora nessuno aveva narrativamente abbracciato comme il faut.

C’era una volta a Roma un attore quarantenne, che all’apice del suo sfolgorante anonimato di inutili successi teatrali, senza una lire in tasca ma con una donna che lo amava più di se stessa, dovette reinventarsi da una camera ammobiliata dei Parioli, per passare da Amleto a Django il bastardo, da Godot a Killer Kid, da Macbeth a Sabata. Un artista che mise addirittura in discussione tutta la sua formazione accademica, studiando il metodo Stanislawski con un guru di recitazione russa per risultare credibile al cinema… L’odissea di come Antonio de Teffé divenne Anthony Steffen si pone, in una timeline ideale, esattamente 4 anni prima “C’era Una Volta a Hollywood” di Quentin Tarantino, prima del dialogo in cui Brad Pitt invita Di Caprio ad andare a Roma per tentare una nuova carriera nel western italiano… Di Caprio non ne vuole sapere, questa cosa degli spaghetti western pensa sia tutta una grande farsa… “C’mon now. You ever seen an Italian western? They’re awful”. Ma Pitt controbatte: “Yeah. How many you’ve seen? One? Two?”, facendogli capire che in Italia sta accadendo qualcosa di grandioso… qualcosa da non disdegnare, che magari lo avrebbe anche rilanciato.

E già, perché negli anni ’60 siamo stati un’industria micidiale e davamo giri di pista a tutti. Perché abbiamo fatto squadra come in nessun’altra epoca, umanamente e professionalmente. C’era una volta a Roma e ci sarà, speriamo di nuovo! Buon 1965 a tutti, buon viaggio attraverso uno dei periodi più entusiasmanti, surreali e creativi della nostra storia italiana, romana, cinematografica e non solo, che vide la Dolce Vita travolta dalla rivoluzione dello spaghetti western. Perché questo romanzo é in realtà una rocambolesca storia d’amore corale che galoppa a spron battuto in tutte le direzioni e che non vede l’ora di trasformarsi in film… dal film che già è… Ci vediamo a Giugno in libreria!

P.S. Chi volesse una copia per primo con la firma dell’autore, mi scriva a manuel.deteffe@me.com

Manuel de Teffé
Writer-Director

IL MISTERO DELLO SCHERMO ARANCIONE

Ho vissuto nelle ultime settimane uno dei momenti più misteriosi della mia vita. Ogni sera, tornato nel mio albergo parigino, lo schermo del mio laptop era diventato arancione. Arancione con patina appiccicosa. Cosa francamente inspiegabile ma simpatica. Ho cercato di risolvere l’enigma in vari modi, tuttavia, ogni volta che lo ripulivo PERFETTAMENTE, la sera dopo lo ritrovavo arancione. Arancione e appiccicoso. Orribile, per me perfezionista dell’immagine. Ho parlato con i tecnici, con le donne delle pulizie, ho chiamato Cupertino, ho mobilitato le assistenze. Ma lo schermo rimaneva arancione. Lo pulivo diligentemente e la sera dopo, in qualche modo, tornava di quel colore. I più potenti antivirus, assolutamente inutili.

Ho deciso dunque di accettare questo mistero perché mi donava un temperamento enigmatico anche sul set, il che mi ha aiutato ad avere più autorità con la trentina di persone da guidare per finire le riprese dell’episodio pilota per SAJE. Giravo, pensando allo schermo arancione e a come risolvere il problema, mentre attori e tecnici leggevano sul mio viso cogitabondo l’effige del pensatore.

Finché, prima di lasciare Parigi, qualche sera fa, mi sono seduto a fissare questo laptop colorato e ho avuto un flash. Mi sono ricordato delle mie ossessioni durante il Covid circa tutti i prodotti salutari atti a contrastare il malefico virus. Improvvisamente, ho agguantato il mio piccolo cleaning spray e ho letto l’etichetta. Poi ho fatto delle risate solenni: era un irroratore multivitaminico al propoli raccattato in un bio store un anno fa. Dalla stanza accanto qualcuno mi ha urlato di far silenzio. Erano le 11 di sera e sono uscito per i corridoi continuando a ridere dalla gioia. Manuel de Teffé

CLASSÉ X – FINE RIPRESE A PARIGI

Manuel de Teffé and his CLASSÉ X team

Finalmente sono giunto alla fine delle riprese dell’episodio pilota di “CLASSÈ X” la gustosa serie scritta da Anthony Cormy e Victor Pierson, prodotta da SAJE con la collaborazione della scuola di cinema parigina DBIMA. Mi hanno affidato la regia dell’episodio pilota e dato due attori eccezionali, Marlène Goulard e Xavier Goulard, in grado di reggere i tempi e i ritmi di questa commedia gentile. Grazie al produttore Hubert de Torcy che ha voluto la mia regia, agli attori, a John Paul Swaminathan presidente della DBIMA e a tutti gli studenti della scuola che hanno lavorato indefessamente come super professionisti affinché completassimo il prodotto nei tempi stabiliti. Che avventura! Grazie a tutti! Manuel de Teffé

How to use an old projector

Filmato a Parigi da Manuel de Teffé

Filmato in uno dei più incredibili negozi di reperti cinematografici che abbia mai visto… in preparazione dell’episodio pilota che lunedì girerò a Parigi per SAJE in collaborazione con la scuola di cinema DBIMA.

CLASSÉ X – Casting in Paris

Mes sincères remerciements à SAJE distribution pour ces journées intenses et fructueuses de Casting à Paris. Je remercie également TOUS les artistes sélectionnés, qui nous ont offert de brillantes prestations. Merci enfin à l’école DBIMA qui nous a offert l’espace pour organiser le travail. Notre série CLASSÉ X, dont je réaliserai le pilote, a enfin trouvé le couple parfait! Manuel de Teffé

Manuel de Teffé and SAJE during casting

NIENTE FOTO

Foto di Manuel de Teffé

Roma. Basilica di San Pietro. Sono circa 8 anni che non ci metto piede e decido di visitarla presentandomi alle 7 per evitare di stare in fila coi turisti. Entro: ovunque cartelli che vietano di fare foto e video. Siamo solo io e le guardie. NO FOTO – NO VIDEO – NO FOTO – NO VIDEO – NO FOTO – NO VIDEO. Ovunque. Mi sento un cowboy che non riesce ad estrarre la sua colt dalla fondina. Dopo una marea di foto non scattate sto per uscire, quando vedo uno squarcio prospettico da capogiro. Le dita della mano esitano sull’iPhone. Non devo. Mi giro e punto una guardia: è un omino serissimo che sembra puntare il suo sguardo nel nulla, sembra un Napoleone in miniatura senza esercito. Lo avvicino curvandomi per non dare l’impressione di essere troppo alto e a mezza voce improvviso umilmente: “Buongiorno, mi scusi tanto sa… so che è vietato fare foto e video, vietatissimo, non ricordavo, sono anni che… ci son cartelli ovunque e dunque… però… è che a mia moglie, che è lontana, piacerebbe molto un segno, un colore, guardi che cielo… potrei strappare una foto per lei? Solo per lei. Una”. L’omino mi scruta come fossi la Stele di Rosetta, aguzza gli occhi, tira un sospiro e legifera: “SBRIGHETE”. Io sorrido mitemente, riacquisto la mia altezza e corro veloce a scattare la foto. Solo una, in un lampo. Poi mi volto e a ringraziamento alzo il pollice come Fonzie. A specchio, l’omino fa lo stesso e riabbassa subito la mano, guardandomi con una complicità inaudita. Sipario. 

Manuel de Teffé