Manfred e il ghiacciolo magico: i 3 giorni che cambiarono gli anni ’80


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PRIMO GIORNO: Nudo in cortile

Tutto procedeva come doveva procedere per un ragazzino di 14 anni in seconda media, fino al giorno in cui vidi in mezzo al cortile della scuola Pio IX, in pieno inverno, Manfred Croci che se ne stava beato in maglietta bianca a maniche corte con un lemonissimo dell’ Eldorado in mano, le labbra a lambire il lato basso del ghiacciolo e  il mento inclinato leggermente all’ insù, facendo platealmente finta di niente, ma in modo così smaccato da mettermi in allerta arancione.

Era un lunedì mattina di un Gennaio senza pietà, appena tornati a scuola dalle vacanze di Natale, mancava un pugno di minuti a fine ricreazione e si gelava di brutto. Mentre tutti se ne stavano sotto i portici a cincischiare vilmente formule matematiche paludati in moncler, piumini ciesse e loden desueti (io), Manfred si ergeva misteriosamente nel perfetto centro geometrico del cortile in tenuta San Felice Circeo zona ferragosto.   Qualcosa bolliva in pentola. Chiusi il libro di geografia, mandai a quel paese il Pil della Patagonia, e bardato dentro una palandrana british con un ridicolo cappello alla David Crocket in testa, uscii da sotto portici per raggiungere il mio compagno di classe.

Era il giorno in cui tutta la speranza natalizia si dileguava nel ripasso della prima ricreazione post vacanziera, raffiche di vento sferzavano Roma e le mamme ci vestivano ancora come dovessimo andare in missione militare in Russia. Manfred era solito raschiare tutti gli spasimi di libertà possibile, ultimo ad arrivare a inizio lezioni per godersi in santa pace la colazione al bar sotto i portici,  ultimo a entrare in classe a fine ricreazione, ma stare quasi nudo in mezzo al cortile con un ghiacciolo al limone in pieno inverno, era qualcosa di nuovo che smanganellava la mia attenzione.

Avvicinai il mio compagno affiancandolo con discrezione, come un agente segreto approccia il suo simile per captare un’informazione riservata. Manfred, che navigava in una Fruit of The Loom bianca di due taglie più grandi,  registrò la mia presenza ma diresse lo sguardo da un altra parte. Diede un parsimonioso morso al suo ghiacciolo e masticò qualche grumo di ghiaccio giallo aggrottando la fronte, con calcolata lentezza, alla ricerca di una successiva posa plastica da assumere con nonchalance. Infine inspirò profondamente con virile malinconia. All’epoca io ero ancora balbuziente e lo sarei stato per altri quattro anni prima del mio primo viaggio in Brasile,  e parlare era la cosa che mi costava più cara al mondo.

“Manfred! Ma non stai mo-mo- morendo dal fff… freddo?”.

“Si nota, eh?” Sbottò Croci scomponendosi subito in orgoglio goffissimo.

“Da chi ti devi fa- far notare?”

“Dalla sorella di Paolocci.”

“La so-  sorella di Paolocci? M…  Ma Paolocci ha una sorella?

“Le sventole sotto al portico, Le vedi? La roscia! Anzi, dimmi se mi guardano. Ma certo che Paolocci ha una sorella! Scendi dal pero!”

“N… Non sapevo. Pa- Palatiello ha una sorella, anche Ma- Mantovani… Questo lo so per certo Ma… No, non ti guarda nessuna. P….  Parlano tra di loro.”

“Meglio. Guarda che meraviglia! Non mi hanno ancora notato ma adesso mi cioccano. Nessuno ha il coraggio di mangiarsi ghiaccioli in inverno! Eh, Manuel?”

“Ma tu- tu davvero stai al gelo per farti vedere dalla sorella di Pa-pa- Paolocci?”

“Certo. Guarda lo schianto! Mica le squinzie in classe, salvando Rinversi. E quando noterà un uomo forte che non trema a zero gradi, si innamorerà di me. Ci metto la mano sul fuoco.”

“Sei sicuro? M…  Ma sei troppo lontano, tu stai in  me-me- mezzo al cortile, loro sono sotto ai po- portici e non ti vedono!”

“Mammoletta…  Mammoletta! Mi sto allendando da un mese. Mi sono messo a torso nudo in balcone, ogni giorno dal primo giorno di vacanze. Ho visto un documentario sui bambini giapponesi. Quelli li fanno stare a torso nudo a scuola per temprarli. Ho pensato: anch’io! Così ogni giorno ho iniziato a passare un po’ di tempo in balcone senza camicia. E per incrementi di 30 secondi ogni mattino, sono arrivato a 8 minuti. Che vuoi che sia stare in maglietta?”

” Ma io muoio di  fff… freddo anche col cappotto… P-P-P Per incrementi?”

” Certo che muori di freddo mammoletta,  perché lo rigetti. Accettalo.. Per incrementi, sì.  Ma dimmi, mi stanno guardando?”

“Stanno ripassando tu- tu- tu – tutte, Manfred. Mi sa che neanche sanno che esistiamo.”

“Meglio. Sarà un effetto sorpresa. Chiacchierino quanto vogliono. Io intanto sto inviando un campo vibrazionale…”

“Eh?”

“Eh! Le mando le frequenze della mia presenza.”

“Da qui?”

“Da qui.” 

“E come fu- fu-  funziona?”

“Energia. Scienza…É tutto energia! Fu-fu-fu. Dovresti saperlo con le boiate che ti ciucci. Queste sono le cose che ci devono far studiare, e invece come poracci siamo fissi sulla Patagonia, i cereali, il limo, Garibaldi , Il sabato del Villaggio e la barbabietola da zucchero, porca paletta!”

Manfred mollò un’altro morso al ghiacciolo, ebbe uno scatto di onesto tremore ma poi si riprese maschiamente e lo bloccò. Sull’inutilità totale del nostro piano studi aveva ragione. Se una cosa  ci accomunava, oltre al disegno a mano libera, era Il fatto che passavamo tempo su libri non convenzionali, quasi da mettere all’ indice per l’assetto educativo blindato del nostro istituto cattolico: io perso nell’ufologia, E.T e il triangolo delle Bermuda, piccolo cospiratore ante litteram balbuziente, Manfred sulla bioenergetica, Felden Kreis e Bruce Lee. Insieme, sapevamo tutto.

“Ma non stai g-g-g… gelando?”

“Manuel, è il gelo che si sta Manfredizzando… ho degli gli addominali… Guarda che roba, guarda qui, Manuel! Sto in tensione muscolare per rimandare il freddo al mittente. Controllo su tutto! “

Suonò la campanella, aspettammo che si svuotasse il cortile e risalimmo in classe. Una volta in aula, Manfred prese da sotto il banco una felpa e se la infilò velocemente, cercando di non battere i denti. E mentre Il piccolo professor Colelli iniziò a spiegarci geografia scodellando i 750.000 chilometri quadrati della Pampas che in lingua locale significa pianura e che gode di un clima predominante temperato… io stavo già assaporando il tipo di gelato che avrei scelto l’indomani, forse un Magic Cola, che non ricordavo di aver mai provato. Io in T-shirt col Magic Cola in cortile a mandare campi vibrazionali alle belle del Pionono. Da paura.

SECONDO GIORNO: Questione di chackra

Il giorno dopo, a inizio ricreazione ero già dentro il bar della scuola sotto ai portici a contemplare il cartello metallizzato della Eldorado, con una maglietta a maniche corte e una felpa gialla sulle spalle.  “Fior di fragola, Lemonissimo, Magic Cola, Arcobaleno, Topolino, Piedone, Calippo,  Zaccaria… Zaccaria, perché no? ” Ma cambiai idea e scelsi un gusto mai provato: il ghiacciolo arcobaleno. Sganciai 250 lire e raggiunsi  Manfred già appostato in mezzo al cortile in tenuta militare, con una maglietta verde scuro a maniche corte e il lemonissimo in mano. Manfred era molto serio, fu contento della mia decisione di unirmi alla resistenza ma mi rimproverò subito.

“Allora, primo, il gelato arcobaleno fa frocioni. Fidati. Si, hai capito bene, ho studiato tutto Manuel. Proietta l’idea che non siamo d’un pezzo… Domani ghiacciolo unigusto, per cortesia. Anche il Fior Di fragola ha un nome femminile. Bisogna calcolare tutto… Non venirmi qui col Fior di Fragola che facciamo brutta figura. Però in effetti è il migliore, ma in cortile no. Immagina, due uomini come noi in mezzo al cortile che leccano il fior di fragola! Ma che schifo! Non trasmettiamo nulla di positivo, anzi.  Senti, ho studiato tutto, ti devi fidare. Quello che fa più maschio è il lemonissimo,  che poi manda anche un messaggio chiaro, mi capisci, no? Essù. Mi hai capito: dimentica i calippi, il piedone, topolino, paperino e gommolo. Vieni col Gommolo e abbiamo chiuso. Al massimo ti concedo il Magic Cola.  E uno Zaccaria, che ha un nome cazzuto, è brutto da morire ma si fa rispettare e non è neanche malaccio. Chissà perché lo hanno chiamato Zaccaria, dovremmo indagare. Anzi, domani mi compro Zaccaria. Manfred-Zaccaria. A livello vibrazionale funzia, c’è qualcosa di primordiale che incute rispetto. Chi era Zaccaria? Lo sai? Ah, e levati la felpa dalle spalle, te la avviti ai fianchi per cortesia? Nessun teporino da mammolette.  Manuel, essù. Bravo! Adesso iniziamo a sviluppare i chakra! Da qui. Trasmetti il tuo campo energetico, forza!”

“Co- cosa sono i ciacra?” Chiesi sbigottito cercando di non battere i denti. Manfred roteò gli occhi al cielo e fece finta di andarsene indignato, qualche metro e tornò indietro.

“Manuel, e la miseria! I Chachra… Frulla subito quei i libri sulle Bermuda e i triangoli maledetti! Studiati un po’ Bruce Lee! Sono punti energetici, li devi risvegliare… Li abbiamo tutti ma non ce lo dicono. Ecco, lo vedi questo? Questo è  il plesso solare. Parte tutto da qui! Hai presente Jeeg Robot quando lancia il raggio protonico da sopra la cintola? Quello. Invia l’energia da qui, per cortesia. Ma con grinta! Fidati. Focus. Trasmetti! 

“OK.”

“Bene. Bravo. Ma ci stanno notando?”

“Ancora no, Manfred.”

“Chi se ne frega, tu intanto trasmetti.”

Rimanemmo lì,  in silenzio, in mezzo al cortile, a mandare i nostri campi vibrazionali per tutta la durata della ricreazione sgranocchiando ghiaccioli estivi sotto un cielo plumbeo, credendoci. Quando squillò la campanella di fine ricreazione.

“Ci  sposeremo le donne più belle del mondo.” Profetizzò Manfred perquisendo il futuro.

“Cosa?”

“Ci sposeremo le donne più belle del mondo”. Ripeté il mio compagno con una sicurezza surreale. Stavo per chiedergli i motivi di tanta affermazione ma mi apparse in mente Kelly McGillis in tutto il suo splendore e non dissi nulla, impegnato a contemplarle i boccoli siderali.

“Ah, e domani non barare.” Riprese Manfred con una luce malandrina negli occhi, stropicciandomi un lembo della maglietta. “Ti sei messo tre magliette una sopra l’altra, baro! Ti ho sgamato, guarda qui! Eh! Eh! Manuel! Tremavi troppo poco! Ma come primo giorno ho apprezzato il coraggio. Adesso non ci muoviamo ancora, dobbiamo restare qui finchè se ne sono andati tutti. Fidati, abbi coraggio e continua a vibrare. Ah, e domani si ritorna al lemonissimo, che dobbiamo essere consistenti! Adesso mandiamo il nostro campo alle donne più belle del mondo. Forza!”

“Signorsìssignore!”

TERZO GIORNO: Disfatta e profezia

Due adolescenti quattordicenni stavano nel cortile della Pontificia Scuola Pio IX, l’istituto privato paritario più duro della capitale, la scuola più vicina del mondo a Piazza San Pietro, più esigente di Harvard, Oxford e Yale messe insieme, inviando campi vibrazionali alla sorella di Paolocci e le sue amiche come se non ci fosse un domani. Maglietta corta, ghiaccioli in mano, risolutissimi, lemonissimi. Io stavo letteralmente morendo di un freddo che non riuscivo a manuelizzare e mentre sentivo i dart degli orsi polari che giocavano a freccette sui pori della mia pelle, i miei denti affondavano dentro un ghiacciolo dagli infiniti retrogusti misteriosi.

“Manuel, se oggi non si voltano, la finiamo qui!” Decretò Manfred con nuova convinzione.

“Ma co-co- come?!” Balbettai io leccando il ghiacciolo… “P-P-P- Perchè?”… Stavo iniziando a prenderci  gusto mentre il mio compagno di classe voleva già battere in ritirata? Come era possibile? Tuttavia Manfred Croci cambiava sempre piano su tutto, diceva che Bruce Lee lo invitava ad essere flessibile: Il giorno prima era sicurissimo di qualcosa, il  giorno dopo era sicurissimo di avere sbagliato tutto e sfoderava una strategia superiore, e così via sulle ali di una sicurezza che si autosabotava costantemente per eccesso di sicurezza. Comunque la cosa mi divertiva alla grande, ci sentivamo infiniti.

“Non capisci proprio Manuel,  e dai… I campi energetici noi li stiamo mandando ma forse non toccano le loro frequenze… Adesso concentriamoci e facciamo così. Ma zitti, mi raccomando. Solo pensiero puro sino a fine ricreazione. Mandiamo tutta la nostra energia, chi la piglia, la piglia. Se la sorella di Paolocci non  si sintonizza significa che non entra in risonanza e amen. Alle più belle del mondo. Forza, pranizza.”

“In risonanza?

“Zitto e pranizza.”

Pranizzammo per altri cinque minuti senza dire niente. Io stavo letteralmente morendo dal freddo, Manfred concentratissimo con un ghiacciolo a metà che non mangiava più  e che iniziava a calare stalattiti gialle sul pugno che vibrava per la tensione. Poi il colpo di scena: la sorella di Paolocci e le amiche si mossero e iniziarono a venire verso di noi. Uno spasimo di viltà infinita ci deconcentrò per qualche secondo.

“M….  Manfred! Hai vvv…?”

“Manuel zitto! Arrivano! Eccole! Fai finta di niente!” 

“Incredibile, non ho più freddo! Io non sento freddo!”

“Bene! Te l’avevo detto! Ma zitto! Stanno venendo qui…”

“Non sento il…”

“E’ normale, il prana non è una… sorridi Manuel! Hai sentito che non balbetti più?!

Le più belle donne della scuola Pio IX si stavano dirigendo verso il centro del cortile insieme ai loro moncler rosa fenicottero, e noi, a qualche metro dall’esser superati, inchinammo la testa presentando loro un galante salamelecco nella speranza di un consenso fulmineo, di un incrocio di sguardi che non si incrociò. Un attimo prima di essere affiancati,  Manfred sguinzagliò un incauto sorriso vittorioso e sorrise con gli zigomi che gli si appuntirono in viso in modo innaturale, una paresi che si porta dietro sino ad oggi, e che l’ora successiva mandò su tutte le furie la professoressa De Leone durante un’indimenticabile scena muta alla lavagna. Per la prima volta, la nostra severissima insegnante di inglese ormai sulla via del tramonto, non riuscì infatti  a intimorire nessuno: quel ragazzino rubicondo incapace di svolgere la backversion,  le stava sorridente e immobile vicino la cattedra, per niente intimorito, sfoggiando in viso una gioia così angelica da risultarle pura strafottenza.

Come non fosse accaduto nulla, incurante del 3 meno meno, Manfred tornò al posto e mi battè di nascosto due colpi sulla schiena con la punta della squadra, io mi inclinai  indietro e l’oracolo sussurrò: “Sai cosa abbiamo fatto, Manuel? Noi oggi abbiamo mandato le nostre vibrazioni alle donne più belle del mondo. E oggi abbiamo capito che le donne più belle del mondo non sono al Pio IX.”

“Ne sei sicuro?”

“Ci avrebbero risposto.”

Annui e ritornai avanti con la sedia, tossendo. Era veramente quello il motivo per cui non avevano risposto al nostro saluto? Un lampo dal futuro mi fece sparire la scuola Pio IX da sotto gli occhi e, tutti i miei compagni lo possono certificare, non fui mai più presente in spirito per nessun motivo per i sei anni successivi, fino all’esame di Maturità.

FINALE

Il giorno dopo stavo a letto in stato preagonico, mia madre aveva sedato il sedabile con 20 gocce di novalgina ed io coloravo con gli uniposca un gigantesco Daitarn 3, leggermente rialzato sul letto,  le ultime forze in serbo spese nel disegno del robot e delle donne di Banjo Haran. D’un tratto, mamma entrò in camera con la cornetta del telefono in mano collegata a un filo a torciglioni talmente lungo che mi sembrò per un momento attaccato alla centrale dei Ghostbuster di New York.

“É Manfred. Cercate di esser brevi ragazzi, devo sentire il dottor Forti prima che chiuda studio… Non vorrei  fosse broncopolmonite.” Vagheggiò, sparendo in corridoio con una marlboro spenta tra le labbra.

“Manfred?”  Gemetti, agitando i pennarelli.

“Manuel, tutto bene? Oggi non ti ho visto.”

“Sto malissimo, sto a letto… Febbrone….”

“Vedi? Quando stai male non balbetti. Non puoi prenderti neanche uno spiffero! Cavolo, mi dispiace! Ascolta. E smetti di disegnare che sento gli uniposca! Senti, passerà:  ho parlato con la sorella di Paolocci. Sì esatto, in cortile. Stamani. I campi energetici mi hanno fracassato gli zebedei. Ascolta, le nostre vibrazioni sono già all’opera. L’energia si è mossa e quel che è fatto è fatto, Manuel. Allora ho pensato, Manfred le va a parlare. Sai cosa? Non mi piace. Era più sventola da lontano ma ha sempre il suo perché, le rosse hanno dei perché micidiali. Ma non mi piace più, non so come mai… E basta coi ghiaccioli! D’inverno fanno schifo. Però adesso, te che non hai niente da fare almeno per 2 settimane, che sei caduco e deboluccio, almeno dal letto sviluppami i chakra. Mi raccomando, Manuel. I chakra…”

“Manuel!” Tuonò mamma nuovamente sulla soglia della tanza, più dura di Clint Eastwood, più elegante di Grace Kelly, mentre partiva la sigla delle Charlie’s Angels in salotto. “Manfred, devo attaccare… sì, sì, i chakra.”  Restituii la cornetta alla mia funky genitrice e mi arresi alla febbre, che quando arrivava mi faceva passare ogni desiderio di comunicare col mondo esterno perché pensavo sempre di star lì lì per morire. “SÍ LALLERO”, risponse a quel pensiero esagerato mia  madre, intercettando in pieno il suo primogenito moribondo con una marlboro spenta in bocca mentre faceva partire  scintille a salve da un accendino Bic. Poi si dileguò nel corridoio per chiamare il dottor Forti e chiedergli un consulto sul mio stato.

Erano le 5 del pomeriggio, io non capivo più niente dalla sofferenza e smisi di disegnare. La febbre galoppava, chissà come si scrive ciacra, pensai chiudendo gli occhi. Stavo aggrappato al ciglio del mio plesso solare per non sprofondare negli abissi della mia incoscienza, esanime, finché all’improvviso mi apparve dall’alto un Manfred  in miniatura vestito da Yoda con un lemonissimo fosforescente in mano facendo capriole e urlando: “Chrakra non scrive! Chackra usa! Chackra non scrive! Chackra usa! Chakra non scrive! Cha… Cià-cià-cià…della segretaaaariaaa….”

Coriandoli di immagini senza senso e lapilli di intuizioni scollegate piovevano sulla mia fronte bollente quando, nel punto esatto prima di liquefarmi nell’oblio e sparire nel nulla, esattamente un nanosecondo prima di morire, detonai: Il mio plesso solare esplose con potenza inaudita e vidi un onda energetica blu elettrico con venature incandescenti sprigionarsi dal centro del mio corpo ed espandersi per via delle Fornaci, superare il colonnato di San Pietro, uscire da  Roma e irradiarsi su tutta l’Italia. Il tempo di vederla attraversare le Alpi e morii. 

Fu in quel pomeriggio, verso sera,  che una bambina tredicenne tedesca di Colonia, mentre giocava da sola nel suo giardino del quartiere di Marienburg, fu sorpresa da  un vento nuovo, una brezza d’oro blu che si fece strada tra le solite correnti  gelide e le irradiò il viso per 7 secondi. Allora, senza sapere esattamente perché, la piccola Carola si alzò in piedi, le vennero le lacrime agli occhi dalla commozione e il desiderio inspiegabile di vedere Roma.

La sposai  due decadi dopo nella Chiesa di Santo Spirito in Sassia, di fronte alla Scuola Pio IX,  con Manfred in grande spolvero nella veste di testimone di nozze. Ed io, due anni  dopo, gli ricambiai il favore testimoniando al suo matrimonio con la più bella fotografa russa. 

Buoni anni 80 (quasi 1500) a tutti voi.

E Buon Ferragosto!

Manuel de Teffé

Director/Writer

All rights reserved

P.S: Dedicato agli irriducibili del Pio IX e affini: Manfred Croci, Inna Labutova Croci, Gabriele Croci, Eugenio Patanè, Daniele Paolocci, Valentino Nardi, Giampaolo Olivetti, Cesare Ranucci Rascel, Valentina Saraceni, Federico Mondello, Gianaldo Mantovani, Francesca Luciani, Max Cucullo, Sabrina Sarrocco, Valerio Bronzetti, Aldo Gaudenzi, Benedetta Turini, Dario Amodio, Marco Lionetti, Arturo Marzano, Ernesto Spinelli, Pietro Spinelli, Giorgio Galax, Alessandro Borgognoni, Francesca Rinversi, Fratel Roberto Villa, Luiz de Teffé, Daniela Consorti, Agostino Scornajenchi, e anche a … Christian Busiello

“La scuola Pio IX e i tre giorni che cambiarono gli anni 80” 

 

 

 

 

 

 

Orfanotrofio Italia: mentori italiani cercansi. Da una società feudale all’economia di relazione (III parte)

AGLI UOMINI ITALIANI DAI 40 AGLI 80 ANNI E ALLA LORO SOPITA CAPACITA’ DI FARSI MENTORI.

Link all’articolo sull’Italiano

Se l’Italia è una società feudale, dove anche la più insignificante delle strutture diventa nel tempo un feudo impenetrabile, dove ogni logo è bunker autoreferenziale, e nessun buon progetto può avviarsi senza santi in paradiso, l’uomo che debutta in società dopo la parentesi liceale, non sa ancora che il proprio paese non vorrà aver niente a che vedere con lui, e inizierà a muovere i primi passi in quello che si manifesterà a un certo punto come un mostruoso orfanotrofio sconfinato poiché privo di quella figura essenziale che appare dal nulla  quando ogni giovane, ormai pronto per l’incontro, ha bisogno di una propulsione nuova e sconosciuta per prendere definitivamente il largo: sto parlando del mentore, e adesso accennerò al primo che conobbi.

Le modalità secondo le quali un uomo inizia ad assolvere al proprio e ineluttabile ruolo di mentore sono sempre le stesse: è cercato da un giovane che lo avvicina e lo elegge a mentore, cerca lui stesso un giovane perché deve tramandare una certa conoscienza, è già accanto al giovane da molto tempo ed esercita tale funzione automaticamente, senza che nessuno dei due se ne renda conto. Il mio primo mentore rientra nella terza categoria, non l’ho cercato, era già accanto a me: il mio professore di Disegno al liceo romano Pio IX, Mario Salvatori, buon’anima. Quando avevo 18 anni e il prof. Salvatori entrava in classe, io non vedevo un professore ma percepivo un uomo. Mario era l’essenza dell’insegnamento stesso emanata da un signore settantenne stazza un metro e 90 e assorbita da noi per osmosi.  L’uomo era vedovo, un figlio disabile a casa, una scatola di mentine in tasca e un barboncino al guinzaglio; un lord senza tempo che ci insegnava tutto ciò che sapeva: nelle sue classi, anche gli oggettivamente inetti toccavano considerevoli cime artistiche …Come diceva a chi avanzava la scusa del “Non ho la mano”…:” “Tesoro bello manico d’ombrello, non è la mano che disegna, ma il cervello”. Sotto il suo sguardo, crescevamo come in una serra, protetti, rigogliosi, stimati. E non dimenticherò mai quelle due settimane in cui, tornato dalla Svezia dopo la maturità, mi armò fino ai denti per l’esame di ammissione all’Accademia di Belle Arti, munendomi persino di ordigni intellettuali non convenzionali.

Twist in the plot: l’influenza del mentore può essere scientificamente provata dalla fisica quantistica, che ridotta in soldoni ci dice: “L’osservatore influenza l’osservato”. Per non far prendere a questo mio articolo fuorvianti e basse pieghe sentimentali, vi dirò che ciò che avviene a livello molecolare è interessantissimo: quando osservate, le particelle subatomiche sono influenzate a livello comportamentale, non modificate, influenzate.

Adesso, esistono tre tipologie di paternità in grado di influenzare l’arco della nostra vita, 3 tipi di padri. C’è il padre fisico, quello di nascita, che nel tempo scopri essere ottenebrato dal raggiungimento di una stabilità economica continua; il padre spirituale, come prete, che nel tempo scopri difficile da avvicinare perché si sta preparando sempre una predica migliore da fare e ha bisogno di scrivere in pace; e l’uomo che entrati in società si deve conoscere per una necessaria crescita umano-professionale,  il padre mentore, il genitore tecnico che ti avvia verso la moltiplicazione dei tuoi talenti e finisce col determinare definitivamente la tua fioritura d’uomo. Quest’ultima forma di paternità, a causa dell’assenza di una economia di relazione derivante da una società che non è riuscita a sfeudalizzarsi, esiste in Italia in modo del tutto trascurabile.

La figura del mentore si sviluppa infatti nella misura in cui una società si muove dinamicamente in un’economia di relazione. E L’economia di relazione è quell’atteggiamento che scaturisce dalla consapevolezza che conoscere lo sconosciuto che hai davanti può essere un arricchimento. Consapevolezza che stenta a realizzarsi in una società come l’Italia, storicamente feudale perchè chiusa in una pletora di compartimenti stagni non comunicanti, tutti privi di una “Single window”, porta d’accesso chiara e visibile che determina il contatto immediato di chi vuole proporre qualcosa a.

La cinematografia americana ci fornisce una quantità pressocchè infinita di mentori, da Obi-Wan Kenobi che alleva Luke Skywalker in Star Wars, a Mickey Goldmile che allena lo Stallone italiano in Rocky; da Gordon Gekko che istruisce il giovane Jake in Wall Street 2 a Robin Williams che forma i suoi studenti in “Dead poets society”. Badate bene ai verbi usati: alleva, allena, istruisce, forma. Una società, quella americana, che nonostante i difetti grossolani sotto gli occhi di tutti è sanissima a livello di ricambio generazionale. C’è sempre un vecchio che si nutre della vitalità energetica di un giovane e un giovane che matura accanto all’esperienza donata di un anziano who brings him to the next level…Nessuno può sopravvivere senza l’altro, ognuno, seppur diversamente, è la linfa vitale dell’altro.

Per esemplificare l’atteggiamento di un mancato mentore italiano,  ascoltate cosa diceva il grande direttore della fotografia Tonino Delli Colli al suo imberbe assistente Mario Brega: “Io non ti dirò nulla. Dovrai rubarmi tutto con gli occhi”. Bello, vero?  Un immenso professionista con ridotte capacità di mentore e un allievo che ha dovuto saccheggiare perchè non poteva domandare. Caso isolato? No. La generalizzazione di questo atteggiamento ha portato alla non nascita di una vera industria cinematografica italiana: non abbiamo un’industria, abbiamo gente che gira cose scambiandosi gli attori.

All’inizio di Rocky, Stallone sbarca il lunario come picchiatore, perchè l’uomo al quale dieci anni prima aveva chiesto di allenarlo aveva rifiutato. Una volta arrivata l’occasione dell’incontro con Apollo, è lo stesso allenatore che cercherà Rocky per poterlo allenare. Morale: Lo Stallone italiano diventa Rocky sotto la guida di Mickey, e Mickey conquisterà il suo unico titolo mondiale con Rocky, una mutua realizzazione umana e professionale.

Qualche anno fa, sotto la pioggia di NY, sorseggiando un acquoso caffè americano su un trespolo del supermercato accanto alla mia lavanderia preferita di Harlem, ho calcolato esserci un gap di esatti 10 anni tra la realizzazione di un uomo americano e quella di un uomo italiano. Perchè da noi ognuno è il mentore di sé stesso. Ora, quando un elettrone cambia orbita, c’è un rilascio di energia. Allo stesso modo, quando un mentore aiuta un giovane a passare su un altro livello, c’è lo stesso rilascio di energia, quell’energia che mette in moto l’economia di un paese. Senza un mentore, un giovane necessiterà dunque di molto più tempo per passare su un altro livello e quando rilascerà quell’energia, perché la rilascerà, l’energià sarà di qualità inferiore, vuoi per la stanchezza, vuoi per il tempo.

Quanto scrivo è scritto per gli uomini italiani dai 40 agli 80 anni, ma anche per le donne, perchè leggendo queste righe possano immediatamente farsi mentori di qualcuno.

Cercasi mentori italiani:  quando un elettrone cambia orbita c’è un rilascio di energia. Rilascio di energia. Uscendo dall’orbita.

CERCASI 12 MILIONI DI MENTORI PER UN IMMENSO RILASCIO DI ENERGIA ITALIANA.

Manuel de Teffé

mdeteffe@me.com