


La Corte dei Baroni di Jesolo ha organizzato una bellissima presentazione estiva del mio romanzo: domenica 31 Agosto alle ore 18:00. Tutti invitati!
Ecco l’invito:




La Corte dei Baroni di Jesolo ha organizzato una bellissima presentazione estiva del mio romanzo: domenica 31 Agosto alle ore 18:00. Tutti invitati!
Ecco l’invito:

Un caloroso grazie al quotidiano Libertà, che dalla penna dell’abile Michele Borghi ci ha fatto dono di questo splendido articolo che riporta la nostra storica reunion del 28 Maggio a Roma. Vedete? Sognare insieme rende tutto più veloce! Da un’idea balenata a me insieme a Davide Mancori e Francesco Romano lo scorso settembre a Pietrastornina… Ancora grazie a tutti gli ospiti incredibili sul palco e in platea: Franco Nero, Anthony Steffen, Carlotta Bolognini, Sandra Zingarelli, Franco Micalizzi, Sergio Martino, Sergio Salvati, Eugenio Alabiso, Gabriella Giorgelli, Marco Tullio Barboni, Pippo Franco, Ottaviano Dell’Acqua, Grazie Amici! Manuel de Teffé
Il 7 marzo 2025 “C’era una volta a Roma” è entrato ufficialmente nella storica biblioteca del Collegio Ampleforth in Inghilterra. Un baldo giovane del College è stato incaricato di posizionare il libro su una mensola. Commosso di questa ospitalità e divertito al pensiero che, un giorno, qualche studente potrebbe trovare in una biblioteca super British uno spaccato del costume italiano/romano degli anni 60… Un grazie ad Ampleforth per questa accoglienza calorosa! Manuel de Teffé https://www.ampleforthcollege.org.uk/

Lo scrittore Giuseppe Manfridi, una delle migliori penne esistenti al mondo, ha appena presentato sulla sua pagina Facebook, “C’era una volta a Roma”. Il romanzo continua il suo viaggio… Ci vediamo presto in quel di Venezia, anche insieme a questo gigante della letteratura. Buona estate a tutti! Manuel de Teffé



Ho recentemente avuto a Parigi un incontro molto interessante con la dottoressa Sara Lombardozzi, esperta di comunicazione. Sono quegli incontri nei quali capisci cosa accade quando un’opera esplode senza cercare consensi di nessun genere. E allora accade qualcosa di unico, che il lettore ti intrattiene raccontandoti la storia che hai scritto… e tu ascolti e vuoi sapere di più… Mi ricordo i lunghi pomeriggi estivi da ragazzo passati a leggere i libri in balcone a Roma, tra i momenti più belli della mia vita, in cui grazie a scrittori che avevano dovuto narrare una storia che avevano nel cuore io potevo esplorare mondi da fermo… Riporto quanto Sara ha scritto su Linkedin, per chi volesse leggere.
“#Ceraunavoltaaroma è molto più di quanto promette: è un romanzo storico, istruttivo, filosofico, comico, ma soprattutto è un faro di speranza sul futuro.
Partendo dal contesto degli anni ’60, oggi di indubbia attualità, il libro ci racconta storia, vita, sogno non solo dei suoi protagonisti ma di ognuno di noi.
È una mappa interattiva da completare, scomporre e ricomporre e l’autore, come un Virgilio, ci prende per mano guidandoci, generoso e senza mai imporsi, attraverso un’intricata rete di uadi (dall”arabo wādī) che si rivelerà essere un viaggio introspettivo e dantesco alla ricerca della bellezza.
Essa risiede nella purezza dell’intenzione, nella verità che si nasconde nel profondo del nostro silenzio, come nella recitazione che “è tutto tranne la parola”.
Mi viene così naturale ricordare le riflessioni contenute in “morire vivendo” del maestro spirituale Vimala Thakar perché il silenzio è anche la base dell’atto meditativo e per trovarlo bisogna riuscire a “morire a sé stessi”, “destrutturarsi” e “dimenticarsi” per ritrovare la bellezza e affrontare con essa le guerre dentro e fuori di noi.
Come i protagonisti di questa storia avvincente, non saremo soli lungo il cammino, perché la vita, presto o tardi, ricongiungerà le anime affini affinché possano “rimettersi in carreggiata” l’un l’altra, guidate da altruismo, fedeltà, costanza e senso di comunità.
E se è vero che “i grandi amori iniziano dosati”, così anche quello per la vita crescerà in chi l’ha perso o ancora deve trovarlo”.
Qui, il suo articolo intero: https://www.linkedin.com/pulse/la-bellezza-del-silenzio-e-come-trovarlo-lombardozzi-b-g-r–939zf/?trackingId=IrgviKliRfCUFv8%2Bh4yzww%3D%3D
Pubblico il commento dello scrittore Mauro Germani, poeta, scrittore, saggista, fondatore e direttore responsabile della rivista di scrittura, pensiero e poesia “margo” dal 1988 al 1992.
Manuel de Teffé, C’era una volta a Roma, Readaction, 2023
Il romanzo di Manuel De Teffé, C’era una volta a Roma, ci riporta agli inizi degli anni Sessanta, quando il cinema italiano, dopo l’uscita nel 1964 di Per un pugno di dollari, non sarà più lo stesso. Il film, realizzato con un budget piuttosto basso, è firmato da Bob Robertson, ma è in realtà Sergio Leone, mentre il protagonista è Clint Eastwood, attore americano pressoché sconosciuto. Molti interpreti sono italiani, però i loro nomi sono celati dietro pseudonimi americaneggianti, come nel caso del coprotagonista Gian Maria Volonté, che usa lo pseudonimo di John Wells. Persino la colonna sonora è attribuita a un certo Dan Savio, dietro il quale si nasconde il vero autore, cioè il maestro Ennio Morricone. Sorprendendo tutti, il film in Italia incassa, in un anno di programmazione, quasi due miliardi di lire.
Comincia così la straordinaria avventura del western all’italiana, che vedrà la produzione di oltre cinquecento film, naturalmente non tutti di qualità, anche se parecchi di essi, in anni recenti, sono stati giustamente rivalutati e apprezzati grazie al contributo di Quentin Tarantino. Certo è che dopo Per un pugno di dollari, la rivoluzione cinematografica di Sergio Leone diviene per molti registi e sceneggiatori romani un modello da seguire. Vengono adottate le modalità espressive più appariscenti del suo cinema: inquadrature ricche di dettagli, primissimi e primi piani, personaggi che lottano per la loro sopravvivenza e agiscono perlopiù motivati dalla vendetta o dalla sete di denaro, violenza esasperata, dialoghi brevi, sarcastici, a volte – nei casi migliori – addirittura aforistici. Artigiani del cinema si danno da fare, cercano nuove soluzioni per sorprendere il pubblico, elaborano situazioni e personaggi originali, agli antipodi del western americano tradizionale. Nascono i protagonisti di un filone popolare irripetibile, dominato dai vari Ringo, Django, Sartana, Sabata, con i loro abiti “vissuti” o stravaganti (poncho, mantelli neri, spolverini): essi spesso appaiono avvolti da un’aura mitica e quasi mistica, oppure sono eroi che vivono una solitudine estrema, cupa, ossessionati dal proprio tragico passato.
Manuel de Teffé, figlio di Antonio de Teffé, in arte Anthony Steffen, uno dei maggiori protagonisti del western all’italiana (ne interpretò ben ventisette), rievoca il periodo in cui suo padre, fino ad allora attore teatrale, decide di dedicarsi al cinema western emergente, grazie alle sollecitazioni della fidanzata che diverrà poi sua moglie, Antonella. Con una narrazione assai avvincente, che va aldilà della semplice biografia – la quale viene trasfigurata per comporre un vero e proprio romanzo – de Teffé ci consegna un’opera al tempo stesso godibile e stratificata. Elementi reali e d’invenzione si fondono in modo sorprendente e caratterizzano con efficacia il periodo storico della vicenda e i personaggi coinvolti.
Si possono rinvenire nel libro almeno quattro fattori o nuclei narrativi, che interagiscono tra loro e che concorrono alla struttura del libro.
Il primo, cioè quello centrale, è costituito dalle figure di Antonio de Teffé e della moglie. La loro è una storia d’amore appassionata e contraddistinta da un mix di intelligenza, ironia e cultura. I loro dialoghi e le loro lettere hanno un che di scoppiettante come nelle migliori commedie brillanti. Sarà proprio Antonella a convincere Antonio a dedicarsi al cinema western e a inventare lo pseudonimo di Anthony Steffen. Pur nelle loro differenze caratteriali, essi formano una coppia in qualche modo irresistibile, di rara e raffinata complicità.
C’è poi il secondo elemento, quello collettivo, cioè propriamente storico, in cui agiscono i personaggi: è l’ambiente degli anni Sessanta, con gli entusiasmi e le contraddizioni di quel periodo: da una parte le proteste contro la guerra in Vietnam, le paure della guerra fredda e delle minacce nucleari, dall’altra le speranze dei giovani hippy e l’eccitazione dei cineasti romani per le produzioni western e il sogno del successo. È un piano che fa da sfondo a tutta la vicenda, ma che non deve essere considerato secondario, anzi: esso determina il clima particolare che le pagine del libro trasmettono al lettore.
Vi sono inoltre i personaggi che ruotano attorno ai due protagonisti: un guru di recitazione russa, che si basa sul metodo Stanislavskij, un regista ebreo di documentari, affetto da narcolessia, e un anziano imprenditore di grissini che vuole realizzare un film tratto dal suo manoscritto segreto: Niente dollari per Django. Sono personaggi ben calati nel loro ambiente e ben delineati: muovono la storia, con il loro linguaggio, le loro gag, il loro modo di essere, che si confronta con il mondo diverso e aristocratico del protagonista, il futuro Anthony Steffen del cinema western.
Infine, a ben vedere, si può cogliere tra le pieghe del libro una dimensione più nascosta, misteriosa. Abbastanza frequenti sono, qua e là, i riferimenti a Dio, soprattutto nella relazione tra Antonio, che si dichiara non credente, e Antonella, che invece è assai devota. Non c’è, però, tra i due una contrapposizione schematica, e lo stesso ateismo di Antonio sembra talvolta cedere alla richiesta di un aiuto superiore, a una domanda spirituale. E leggendo attentamente il romanzo non si può non avvertire una sorta di soffio magico, che permea l’intera storia narrata. Ciò non riguarda solo l’avventura cinematografica del western all’italiana, con quanto di ingegno e di creatività ha saputo concentrare tra gli anni Sessanta e Settanta (condizionando, tra l’altro, la stessa cinematografia western americana, che si è trovata inaspettatamente debitrice dei nostri film), ma anche i personaggi principali del romanzo: eroi, in qualche modo, predestinati, colti dall’autore agli inizi della loro eccezionale impresa. Un’avventura davvero senza precedenti, in cui Anthony Steffen sarà uno dei volti più popolari del nostro cinema western. Questo romanzo è indubbiamente anche un’occasione per ricordarlo e riscoprirlo come merita.
Pubblico lo spassoso commento di Cristina Chinaglia, attrice e celebre stand-up comedian, che ha letto “C’era una volta a Roma” e scritto queste parole… Enjoy!
“Fiu fiu fiu fiu”, il fischio di Alessandroni, la chitarra elettrica della colonna sonora di Morricone ed è subito western. “Marcello, Marcello, come here!” cinguetta Anita Ekberg nella fontana di Trevi ed è subito ‘la dolce vita’. Il tram numero 3 che sferraglia pigramente ai Parioli ed è subito Roma. O forse sarebbe meglio dire “C’era una volta a Roma”. Di cosa sto parlando? Parlo del primo manoscritto in forma di romanzo di Manuel de Teffé. Regista, sceneggiatore, scrittore. L’ho letto e me ne sono innamorata. Del libro? No, non del libro, cioè sì, del libro, cioè no, anche…in realtà, non so come dirglielo ma proprio del protagonista: Antonio de Teffé von Hoonholtz, in arte ANTHONY STEFFEN. Che, come potrete notare dal cognome ricorrente, è il padre dello scrittore.
Ma procediamo con ordine: chi è Anthony Steffen? Un figo atomico. Per chi non lo sapesse è stato protagonista al cinema nel periodo dei cosiddetti “spaghetti western”, un genere inizialmente poco valorizzato, per arrivare poi a rappresentarci in tutto il mondo. Se siete appassionati di cinema sapete già tutto, se non siete appassionati di cinema cercatevi l’epopea del ‘western all’italiana’. In ogni caso Anthony Steffen è un figo atomico, interprete anche del leggendario Django! In “C’era una volta a Roma” si racconta la sua storia, davvero degna di un romanzo. Si viene catapultati nella Roma della dolce vita, degli attori di teatro molto bohémien, di una Roma palpitante, brulicante, che riemerge malconcia dalla guerra con tanta voglia di vita, che conserva ancora la sua anima, anche se l’America e la Russia si fanno sentire, la guerra fredda, la protesta pacifista contro la guerra del Vietnam, sfiorano la vita di Antonio. Questo però è il quadro storico, lo sfondo.
Antonio incarna l’Eroe. Antonio è un personaggio epico, che ti prende per mano e che sembra rassicurarti perché con lui tutto appare possibile. E’ bello, appassionato, è uno di quei personaggi da film che non pensi possano esistere nella realtà e invece esistono. Cioè tutte noi vediamo Brad Pitt sulla pellicola ma non abbiamo mai davvero pensato che esistesse davvero, su. Quel genere lì. Non lo lasceresti mai perché anche le sue fragilità le senti dentro come se improvvisamente diventassero una forza. La tua forza.
Con Antonio c’è il suo grande amore, Antonella La Lomia. Una creatura divina che ricorda i personaggi interpretati da Audrey Hepburn. A me che piace sognare inutilmente, contro ogni pronostico, con un ottimismo da Labrador abbandonato in autostrada pronto ad essere adottato, ha mandato in visibilio. Ho amato spiarli, stare con loro mentre scherzano, mentre affrontano le sfide della vita e pensano, tra una trovata (soprattutto di Antonella) e l’altra, che “domani è un altro giorno”, sì, ma un giorno d’amore. Belli, belli in modo assurdo.
Intorno a loro però c’è un mondo: una sfilata di personaggi incredibili, divertenti e gustosi, imperdibili e una scrittura, quella del de Teffé figlio, che fornisce certamente una ‘prova d’amore’ nei confronti di un padre non convenzionale ma che gioca, soprattutto, sapientemente, con la sua penna funambolica, ricca di immagini e di un immaginario mai banale. Dal registro affettato di una Roma bene che non c’è più, ovvero che non c’è più allo stesso modo, che ancora risente di un’aura fin de siècle, al romanesco gustosissimo di personaggi che sembrano compagni di gomitate del Belli. Compagni di scena avidi di vita, produttori cinematografici esilaranti, marchese e speroni da cow-boy, manifesti strappati di un Cyrano passato, “C’era una volta a Roma” ci porta in un mondo rutilante, in continua trasformazione, come un’improvvisazione di Ella Fitzgerald, un mondo svanito nel nulla che l’autore riporta a galla come se lo stessimo guardando proiettato sul muro di un palazzo, nella piazza del paese, seduti su una sediolina di paglia. Quella è un’epoca che vive di una nostalgia ancora pulsante. Che secolo, il Novecento, che secolo. Forse la dimensione di questo manoscritto è la dimensione del sogno. E tutto quello che fa sognare non è ciò che ci porta fuori dalla realtà ma ciò che ci dà la forza, a volte la follia, di cambiarla.
Ciao, Anthony, eternamente sogno.
Cristina Chinaglia
Ringrazio tutti i lettori di “C’era una volta a Roma” e i loro continui messaggi pieni di entusiasmo ed affetto. Ho passato un’estate nuova a dialogare con tutti… Alcuni incontri assolutamente sorprendenti… Adesso siete voi che raccontate a me. Mai avrei pensato la quantità di relazioni umane che può scatenare un libro. Il romanzo inizia la cavalcata del mese di ottobre. Buoni anni 60 a tutti. Manuel de Teffé