“LA MIGLIORE OFFERTA”: IL CINEMA ALL’ENNESIMA POTENZA. Come Tornatore firma il suo “8 e mezzo” e riscrive la settima arte.

Non ricordo.

Non ricordo di aver mai visto nessun film che per intensità narrativa, follia drammaturgica e maestosità attoriale abbia innalzato così in alto la “Suspension of disbelief” da fare impallidire la storia del cinema in toto. Padrini, Cuculi, Kane e Straniamori hanno già accusato il colpo, spodestati in massa da un quadro caduto a terra, un boato che ripercorre e doppia tutta la storia dei colpi di scena di qualsiasi arte.

I capolavori del cinema di tutti i tempi si sono infatti appena resi conto, uno dopo l’altro, di non esser mai riusciti in realtà a osare un “twist in the plot” di simile caratura. Nessuno di loro ha scassinato l’animo umano andando a parlargli in modo così vertiginosamente intimo mettendo il dito nella piaga fino all’attaccatura della spalla. Nessuno è mai riuscito a escogitare un colpo di scena così organico e saturo di metafore da rimettere in riga tutte le più belle metafore che memoria umana ricordi.

Perché “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore è anche la migliore offerta del cinema italiano degli ultimi 30 anni, la più grande prova d’attore di Goffrey Rush, la maturità totale del regista siciliano. Un film che segna la “fine” della carriera di Tornatore come “8 e mezzo” segnò l’inizio e la fine di Fellini.  Accade infatti che l’artista produce il suo capolavoro in stato di grazia e che il capolavoro plachi per sempre e inconsapevolmente l’artista il quale, da quel momento in poi, creerà sì film magistrali, ma senza mai poter riaccarezzare quel culmine, vetta che per una legge misteriosa e provvidenziale è dato umanamente di poter lambire una sola volta a ognuno di noi, come Carl Lewis vinse i quattro ori in una sola olimpiade e amen.

Samuel Taylor Coleridge, fine poeta inglese e famosissimo oppiomane, spiegò nel 1800 una volta e per tutte la differenza che passa tra prosa e poesia, e lo così fece spartanamente da mettere a tacere per sempre qualsiasi speculazione sul tema. Un giorno, probabilmente in stato di grazia e obnubilato dal fumo, disse con toni disarmanti che la prosa erano le parole nel loro miglior ordine, e la poesia le migliori parole nel loro miglior ordine. Concetto migliore non gli riuscì più. E qui, di poesia si tratta, perché a livello musicale, “La migliore offerta” di Giuseppe Tornatore sono esattamente gli ultimi 3 minuti dell’Estate di Vivaldi: le migliori note nel loro miglior ordine.

Per sbarazzarsi dell’atmosfera di un film simile, sempre ce ne si voglia sbarazzare, l’unico trucco da adottare sarebbe quello di rinchiudersi in una stanza e spararsi senza pietà tutti i film di Alvaro Vitali: solo l’opera omnia di Pierino a loop demenziale potrebbe scartavetrare infatti una simile memoria.

Ricordo molto bene la prima volta che conobbi Tornatore. Una mia ex fidanzata, assunta come comparsa ne “La leggenda del pianista sull’oceano”, mi invitò sul set durante la scena del ballo. Andai a farle visita a Cinecittà, conobbi Tornatore, gli strinsi la mano e gli feci velocemente i miei migliori auguri per il film. Come regista non ho mai amato dilungarmi con altri registi mentre stanno lavorando, perché la cosa disturberebbe anche me. Ciò che quel giorno mi rimase più impresso non fu il set in sé stesso né il dispiego disumano di energie tecniche, ma lo sguardo sereno e umile dell’uomo Tornatore. Serena umiltà che ho ritrovato anni dopo anche nello sguardo di un mio amico, che guarda caso è stato scelto proprio da Tornatore come operatore de “La migliore offerta”: Fabrizio Vicari. Visto il film chiamo Fabrizio il giorno dopo e lo butto giù dal letto all’alba.

M: Fabrizio ma ti rendi conto di cosa hai fatto?

F: Che cosa? Che è successo?

M: Hai girato un capolavoro, tutte inquadrature perfette, asciuttissime, non ne hai toppata una.

F: Ah, l’hai visto?

M: Si. Capolavoro assoluto.

F: Ma dai…Ti è piaciuto?

M: Capolavoro assoluto. Adesso puoi anche andare in pensione.

F: Ah, sono contento…Mi fa piacere. A volte i film che fai ti sono così davanti che non sai più…Ci vivi troppo dentro. 

Sul film non voglio aggiungere nulla, qualsiasi altra parola spesa a riguardo sarebbe portatrice sana di spoiler.

Il punto sul quale l’opera mi ha fatto però riflettere è quella che io chiamo “Legge della compensazione”: ciò che fai o non fai ti ritorna sempre indietro a boomerang con interessi composti.

Per quanto riguarda la genesi di un capolavoro sono invece giunto a una conclusione. Non ho più dubbi: umiltà e vera arte vanno di pari passo.

L’opera presuntuosa gronda i “mamma guarda quanto sono bravo”, mentre l’artista umile si rende conto negli anni che l’arte, la sua arte per la quale ha combattuto e dato la vita, non è esattamente tutto, soffre terribilmente di questa realizzazione e cessa di tallonare il capolavoro. Forse è più appagante quella verità che affiora sulle labbra dei tuoi cari amici una sera a cena, lo sguardo imperioso di una figlia raggiante, la calma dopo tutte le tempeste. E in quel momento ridimensiona l’arte e abbraccia il suo lavoro con sublime serenità: ha scoperto a caro prezzo che la sua adorata pittura, scrittura e musica non sono altro che una seconda lingua donatagli per parlare meglio al mondo di cose fuori del mondo; quell’istante unico dove il divino trova uno spiraglio nell’ego dell’artista ed entra in punta di piedi nel suo lavoro guidando il pennello di Michelangelo, che affranto sotto la Sistina ha improvvisamente la sensazione, commosso e grato, di non essere più solo.

Un’ultima cosa: Tornatore, grazie. E ad maiora. Ma sì, ad maiora.

Manuel de Teffé

 

 

 
 

INSIDE THE PASSION – doppia intervista con Fabrizio Vicari / Parte II

Link all’articolo su “L’italiano”

Da bambino, visto un film, sottoponevo mio padre a un puntuale terzo grado per capire come fossero avvenute tecnicamente  certe riprese. Cresciuto, la mia curiosità ha preso una piega  psicologica, ed oggi, potendo la CGI (Computer-generated imagery) ricreare qualsiasi cosa ci scalpiti in mente, mi attrae molto di più la genesi intima di una scena, le motivazioni del regista dietro a un dolly, la sorprendente interpretazione di un attore secondario in un film di nessun valore…O meglio, come affermava Sydney Lumet…“Mi piacciono tutti quei film che a un certo punto mi stanno dicendo altro da ciò che vedo”.

Questa breve seconda parte di intervista a Fabrizio Vicari, operatore di “The Passion” e uno dei migliori operatori italiani, l’ho volutamente affidata a Pia De Solenni, mia amica giornalista americana, che da donna porrà sicuramente domande che la mia sensibilità di uomo difficilmente formulerebbe. Queste le domande e le risposte, senza cerimoniosità.

Pia de Solenni  Durante la scena della flagellazione vediamo il diavolo apparire vestito da donna. E’ chiara la sua presenza denigratoria. C’è stata qualche discussione sul set a proposito di questa scena? Come è stata pianificata?

Fabrizio Vicari   La flagellazione è sicuramente la sequenza più inquietante del film di Gibson. Mentre Gesù è sottoposto a indicibili torture sotto gli occhi addolorati della Madre,  il diavolo passa alle spalle della piccola folla. E’ incappucciato e porta in braccio un fagotto, che sembra contenere un bambino. Ma quando la testa emerge dalla coperta, appare un nano deforme con uno sguardo diabolico. Mel Gibson, come ci ha spiegato anche sul set, ha voluto far risaltare il contrasto tra la compassione di Maria per il figlio torturato e quella strana maternità rovesciata impersonata da satana. E’ poi molto interessante l’idea di Gibson, emersa credo lo stesso giorno delle riprese, di girare la camminata del diavolo facendo sedere l’attrice su un carrello posto su un binario, dando l’ impressione di un incedere quasi sospeso in aria, e restituendo al personaggio un aspetto soprannaturale ed inquietante.

Pia de Solenni  Gibson sembra portare una nuova dimensione della prospettiva femminile nei personaggi di Maria, Maria Maddalena e Claudia la moglie di Pilato…Cosa ne pensi?

Fabrizio Vicari   Non so quanto Mel Gibson abbia tenuto conto della storia e della tradizione cristiana, ma la sensazione che costantemente ho avuto durante le riprese del film, é stata la meticolosa attenzione del regista nel delineare con precisione le diverse personalità femminili, molto importanti in questo film. Ad esempio durante la flagellazione, mentre la scena è inondata di sangue la Maddalena piange e si dispera, quasi perdendo il controllo di sé stessa, Maria pur soffrendo pene indicibili, si erge in tutta la sa maternità. E’ l’unica che non perde  il senso di ciò che sta accadendo, la sua consapevolezza e presenza continua sostengono e danno forza a Gesù per proseguire nel compimento della sua PASSIONE. Figure di donne titaniche che giganteggiano accanto ai personaggi maschili. E si, per me è stato anche molto interessante come il regista abbia descritto il personaggio di Claudia Procula, la moglie di Ponzio Pilato, interpretata con asciuttezza da Claudia Gerini. Un’altra donna che sfida l’autorità, cercando in tutti i modi di intercedere presso il marito affinché Gesù non venga condannato. Nella successiva tradizione Cristiana Claudia viene proclamata santa.

Pia de Solenni  Come ha impattato  la tua vita professionale lavorare in questo film ?

Fabrizio Vicari  Il maggiore arricchimento professionale ricevuto da questa esperienza è stato lavorare con Caleb Deschanel, il direttore della fotografia del film, con il quale ho avuto un rapporto di stima e rispetto reciproco, che mi ha permesso di ottenere il massimo dal mio lavoro. C’erano sempre 2 o 3 camere in azione, il mio compito in particolare era quello di inquadrare gli attori e l’azione in generale in campi più ravvicinati…e proprio per questo i movimenti di macchina erano affidati al mio istinto più che alla indicazioni di Gibson che dopo ogni  ripresa controllava al video ciò che era stato filmato… Qualche volta l’ho visto emozionarsi seriamente ricontrollando il mio girato, e per me questo voleva dire che avevo fatto bene il mio lavoro.

Grazie Pia, grazie Fabrizio, mi avete lasciato con uno/due punti che mi danno materiale nuovo a cui pensare. Alla mia penna, una rapida chiosa. Mi ricordo la tensione durante le riprese di THE PASSION: Gibson aveva quasi finito il film ma non aveva trovato ancora una distribuzione. Nessuno ma proprio nessuno voleva esporsi al lancio di una pellicola così candidamente controversa. Mel l’ubriacone  lavorava dunque senza distribuzione e con un attore quasi sconosciuto come protagonista…Ma sprovvisto degli assistenzialismi statali per film di interesse culturale nazionale, libero come il vento e posseduto  dal sacro furor dell’arte,  credeva nella sua sceneggiatura e il resto è storia. Uno scenario psicologico diametralmente opposto all’italico “vediamo se scattano i finanziamenti”. Does it ring bell Italy? Does it not?

Un saluto a Caviezel, ovunque sia e qualsiasi cosa faccia.

Manuel de Teffé


INSIDE THE PASSION doppia intervista con Fabrizio Vicari / Parte I

Link a “L’italiano” – ( intervista a pag.8 )

Quando uscì “A thin red line”, il primo film che vidi in DVD su un laptop, ebbi la netta sensazione che il protagonista scelto da T. Malick poteva essere l’unico attore al mondo a interpretare in quel determinato momento storico il ruolo di un Gesù moderno.  Si chiamava Jim Caviezel, e già dalla sequenza d’apertura della pellicola, aveva messo KO tecnico Sean Penn e il resto del cast. Il suo punto di forza un viso totalmente trasfigurato da inizio a fine Vietnam. Per incredibili giri del destino, vari anni dopo, mi sarei trovato a Cinecittà sul set di the Passion of the Christ, proprio nel camerino di Caviezel durante  una pausa prima delle riprese notturne. Abbiamo discusso di cinema, della sua vocazione di attore, di vita e di come anni prima avevo avuto quel misterioso presentimento. Fino a quando due colpi secchi alla porta interrompono la nostra conversazione: è Giuda, con un regalo per Gesù. L attore Lionello / Giuda, senza entrare e con grande deferenza, regalava a Caviezel/Gesù un dipinto realizzato da lui stesso raffigurante il volto martoriato del Cristo. Jim accetta il regalo, arriva la truccatrice, io esco dal trailer, scambio qualche parola con il traditore e per ammortizzare il freddo mi reco nella sezione rinfresco dove bevo una cioccolata calda tra la madonna e san pietro. In lontananza Monica Bellucci sta uscendo da Maria Maddalena  a grandi falcate tatuando nell’aria una scia di profumo francese. Arrivo sul set. O meglio entro nella notte della passione. Istantaneamente “the suspension of disbelief” raggiunge un tale apice che sebbene percepisca il ronzio di due cineprese in alto dietro le mie spalle e abbia individuato vari mie amici in ruoli minori tra la folla, non capisco più dove finisce il set e inizia la notte palestinese. Gesù è davanti a Caifa, in catene.  Gibson possiede la folla…

Passano altri anni e a Milano, durante le riprese di un film di Gabriele Salvatores, faccio amicizia con Fabrizio Vicari  scoprendo in lui uno dei principali operatori di Passion. In questo periodo pasquale, ho pensato di coinvolgere la mia amica americana giornalista Pia de Solenni, in una doppia intervista con Fabrizio, ormai assurto anche al ruolo di produttore avendo fondato da qualche anno la 09 produzioni. 4 domande a testa… Inizio io.

Manuel  de Teffé  Caro Fabrizio, una delle sequenze che mi hanno colpito di più per la sua  lunghezza emblematica è stata quella della flagellazione. Mi puoi spiegare come è avvenuta tecnicamente?

Fabrizio Vicari Mel Gibson è stato duramente criticato, non senza fondamento, per la crudezza e per la meticolosa descrizione dei particolari nella scena della flagellazione di Cristo. Posso dire che anche per quello che mi riguarda è stata un’esperienza che rimarrà per sempre impressa dentro di me. La lavorazione del film è durata 21 settimane, ma già dal primo giorno di lavoro si creò una grande aspettativa perquella scena. Più o meno a metà del periodo della lavorazione del film, finalmente arrivammo a girare la fatidica sequenza che andò avanti per due settimane intere. Ricordo Jim Caviezel talmente immedesimato nel ruolo di Gesù sottoposto al flagello, che allo stop del regista al termine di ogni inquadratura, egli sembrava continuasse  a manifestare la sua sofferenza quasi a non voler interrompere quella concentrazione molto vicina ad uno stato di trance. Questa enorme partecipazione emotiva da parte di tutti, mi ha permesso di entrare nello spirito del film non solo di testa ma anche di pancia. Fra gli aspetti tecnici più complicati ci sono sicuramente i numerosi interventi di grafica digitale (SGI) applicati alle nostre riprese durante questa scena, ad esempio i flagelli usati dai soldati romani erano costituiti solamente dal manico di legno, per ovvi motivi, non potendo colpire realmente la schiena di Jim, la parte terminale con gli uncini, e le relative ferite provocate al momento del colpo sono state tutte aggiunte in post-produzione mediante sofisticate tecniche digitali. Quello che invece non è stato aggiunto digitalmente è  l’enorme quantità di sangue finto utilizzato per la scena.  Ricordo che spesso, noi stessi a fine giornata somigliavamo a dei macellai usciti da un mattatoio in piena attività.

Manuel de Teffé  Parlami della crocifissione…

Fabrizio Vicari La crocifissione che conclude drammaticamente il film, al pari della flagellazione, ha rappresentato un altro momento di altissimo coinvolgimento emotivo per il pubblico, e per noi che lo abbiamo girato. La scena è stata girata a Matera nelle prime due settimane di riprese, e conclusa a Roma negli studi di Cinecittà quasi alla fine della lavorazione. La popolazione di Matera ci ha accolto con una certa diffidenza vedendo le loro piazze invase da decine di camion carichi di mezzi tecnici e le mura antiche della città scenografate e trasformate nella Gerusalemme di due millenni fa, ma dopo la nostra partenza, per mesi e mesi i luoghi delle riprese di “ The Passion “  sono stati la meta di  moltissimi turisti in visita a Matera. Le difficoltà maggiori per girare questa sequenza sono state: il freddo e la grande fatica dovuta agli orari di lavoro e la gestione di un impianto di lavoro di enormi dimensioni. Le cinque settimane di riprese a Matera sono state girate con tre macchine da presa, solamente il nostro reparto operatori era composto da 14 persone e tutta la troupe contava più di 200 elementi. Per questa sequenza la scenografia scelse di montare le croci su un’ altura dalla quale si poteva godere di una suggestiva vista dei famosi “SASSI DI MATERA”, ma  sfortunatamente molto ventosa, e quello stesso vento, ci ha tormentato ogni singolo giorno di lavoro causando difficoltà e pericolo per tutti. Era inverno e faceva molto freddo e la persona che ha sofferto di più in assoluto è stato proprio Gesù, costretto a rimanere per ore sulla croce e anche se confortato da coperte e scaldini nei momenti di pausa, è stato proprio lassù che si è ammalato di bronchite per la prima volta. Nella parte finale della crocifissione, nel momento della morte di Gesù, il corpo di Jim Caviezel appare completamente ricoperto da orrende ferite piene di sangue, tutto questo richiedeva, dovendo girare la scena in più giorni, un grandissimo lavoro per i truccatori, dovendo essi raccordare le ferite (aspetto e posizione sul corpo) ogni giorno nello stesso modo. Caviezel è stato costretto, in quei giorni difficilissimi, ad iniziare il trucco alle 2:30 del mattino per essere pronto a girare alle 8:00. Durante quei giorni difficilissimi sentivo molto la responsabilità del mio ruolo di operatore, ogni mio errore voleva dire dover ripetere la scena e procurare ulteriori disagi a moltissime persone, ma soprattutto al nostro attore. Ricordo che un giorno freddissimo e ventoso, mentre noi tutti indossavamo piumini e giacconi pesanti, Mel Gibson si aggirava sul set  con addosso solo una camicia sbottonata sul petto, io mi avvicino a lui invitandolo ad indossare qualcosa di più pesante, e lui mi risponde: “Vedi, Jim sulla croce sta morendo di freddo, io devo fargli coraggio” Ho pensato con ammirazione: “Un vero BraveHeart”.

Manuel de Teffé   Avete avuto un momento di particolare difficoltà?

Fabrizio Vicari   Il momento più difficile è stato quando siamo stati colpiti da una bufera durante le riprese della crocifissione. Abbiamo cercato di continuare a lavorare, perché la luce era bellissima e il direttore della fotografia Caleb Deschanel voleva approfittare di questa situazione, ma ad un certo momento gli uomini della sicurezza ci hanno costretto ad abbandonare il set, ed è stato in questo momento che abbiamo rischiato la tragedia, perché un fulmine si è abbattuto vicinissimo al set, ed un braccio della saetta ha colpito un assistente alla regia che fortunosamente e inspiegabilmente è rimasto completamente illeso. Ho sentito delle persone dire che c’era stato un miracolo……

Manuel de Teffé  Raccontami un momento particolarmente emotivo…anche se immagino sia stato tutto molto toccante.

Fabrizio Vicari   Il momento più commovente è stato girare la scena della Madonna che durante la Via Crucis incontra la processione all’incrocio tra due viuzze. Sono rimasto colpito dalla bravura di Maia Morgensten,vedendola recitare attraverso l’obbiettivo c’era da farsi tremare i polsi. E’ forse la parte più toccante del film, perché Maria guardando il figlio cadere sotto il peso della croce, ricorda una sua caduta da bambino. La scena in flashback ritrae la Madonna mentre attinge dell’acqua, e il piccolo Gesù che inciampa e cade. Lei gli corre incontro, lo abbraccia dicendogli: “Io sono qui”. Tornando quindi nella Gerusalemme dell’anno 30, Maria si avvicina di scatto a Cristo a terra sotto la croce , gli prende il viso tra le mani e gli ripete: “Io sono qui” E’ stato bellissimo girare questa scena così intensa con degli attori così bravi.