Pubblico lo spassoso commento di Cristina Chinaglia, attrice e celebre stand-up comedian, che ha letto “C’era una volta a Roma” e scritto queste parole… Enjoy!
“Fiu fiu fiu fiu”, il fischio di Alessandroni, la chitarra elettrica della colonna sonora di Morricone ed è subito western. “Marcello, Marcello, come here!” cinguetta Anita Ekberg nella fontana di Trevi ed è subito ‘la dolce vita’. Il tram numero 3 che sferraglia pigramente ai Parioli ed è subito Roma. O forse sarebbe meglio dire “C’era una volta a Roma”. Di cosa sto parlando? Parlo del primo manoscritto in forma di romanzo di Manuel de Teffé. Regista, sceneggiatore, scrittore. L’ho letto e me ne sono innamorata. Del libro? No, non del libro, cioè sì, del libro, cioè no, anche…in realtà, non so come dirglielo ma proprio del protagonista: Antonio de Teffé von Hoonholtz, in arte ANTHONY STEFFEN. Che, come potrete notare dal cognome ricorrente, è il padre dello scrittore.
Ma procediamo con ordine: chi è Anthony Steffen? Un figo atomico. Per chi non lo sapesse è stato protagonista al cinema nel periodo dei cosiddetti “spaghetti western”, un genere inizialmente poco valorizzato, per arrivare poi a rappresentarci in tutto il mondo. Se siete appassionati di cinema sapete già tutto, se non siete appassionati di cinema cercatevi l’epopea del ‘western all’italiana’. In ogni caso Anthony Steffen è un figo atomico, interprete anche del leggendario Django! In “C’era una volta a Roma” si racconta la sua storia, davvero degna di un romanzo. Si viene catapultati nella Roma della dolce vita, degli attori di teatro molto bohémien, di una Roma palpitante, brulicante, che riemerge malconcia dalla guerra con tanta voglia di vita, che conserva ancora la sua anima, anche se l’America e la Russia si fanno sentire, la guerra fredda, la protesta pacifista contro la guerra del Vietnam, sfiorano la vita di Antonio. Questo però è il quadro storico, lo sfondo.
Antonio incarna l’Eroe. Antonio è un personaggio epico, che ti prende per mano e che sembra rassicurarti perché con lui tutto appare possibile. E’ bello, appassionato, è uno di quei personaggi da film che non pensi possano esistere nella realtà e invece esistono. Cioè tutte noi vediamo Brad Pitt sulla pellicola ma non abbiamo mai davvero pensato che esistesse davvero, su. Quel genere lì. Non lo lasceresti mai perché anche le sue fragilità le senti dentro come se improvvisamente diventassero una forza. La tua forza.
Con Antonio c’è il suo grande amore, Antonella La Lomia. Una creatura divina che ricorda i personaggi interpretati da Audrey Hepburn. A me che piace sognare inutilmente, contro ogni pronostico, con un ottimismo da Labrador abbandonato in autostrada pronto ad essere adottato, ha mandato in visibilio. Ho amato spiarli, stare con loro mentre scherzano, mentre affrontano le sfide della vita e pensano, tra una trovata (soprattutto di Antonella) e l’altra, che “domani è un altro giorno”, sì, ma un giorno d’amore. Belli, belli in modo assurdo.
Intorno a loro però c’è un mondo: una sfilata di personaggi incredibili, divertenti e gustosi, imperdibili e una scrittura, quella del de Teffé figlio, che fornisce certamente una ‘prova d’amore’ nei confronti di un padre non convenzionale ma che gioca, soprattutto, sapientemente, con la sua penna funambolica, ricca di immagini e di un immaginario mai banale. Dal registro affettato di una Roma bene che non c’è più, ovvero che non c’è più allo stesso modo, che ancora risente di un’aura fin de siècle, al romanesco gustosissimo di personaggi che sembrano compagni di gomitate del Belli. Compagni di scena avidi di vita, produttori cinematografici esilaranti, marchese e speroni da cow-boy, manifesti strappati di un Cyrano passato, “C’era una volta a Roma” ci porta in un mondo rutilante, in continua trasformazione, come un’improvvisazione di Ella Fitzgerald, un mondo svanito nel nulla che l’autore riporta a galla come se lo stessimo guardando proiettato sul muro di un palazzo, nella piazza del paese, seduti su una sediolina di paglia. Quella è un’epoca che vive di una nostalgia ancora pulsante. Che secolo, il Novecento, che secolo. Forse la dimensione di questo manoscritto è la dimensione del sogno. E tutto quello che fa sognare non è ciò che ci porta fuori dalla realtà ma ciò che ci dà la forza, a volte la follia, di cambiarla.
Ciao, Anthony, eternamente sogno.
Cristina Chinaglia
