Reazioni ai miei articoli

Il mese scorso, mentre Benigni cantava il nostro inno nazionale a Sanremo (queste le coordinate temporali, benché non mi trovassi in Italia e non seguissi il Festival), mi sono seduto e ho iniziato a scrivere un articolo mandato il mattino seguente a tutti i giornali italiani. Tecnicamente, è stato scritto; umanamente è esploso. Sono  bastate le pubblicazioni sul Secolo XIX e sull’Italiano a scatenare una reazione che non mi sarei mai aspettato. Ho ricevuto messaggi da italiani di tutto il mondo, personalità di ogni genere, e anche amici che avevo totalmente perso di vista si sono rimessi in contatto con me: per quasi una settimana la mia unica occupazione è stata di rispondere e scrivere…Vorrei ringraziare la redazione del Secolo XIX e in particolare il direttore dell’Italiano Gian Luigi Ferretti, su invito del quale ho buttato giù anche un secondo articolo, a integrazione del primo. Stesso risultato. Cosa ho scritto? In sostanza che amo il mio paese e che per uscire dalla crisi basterebbe passare da una società feudale avanzata a un’economia di relazione. Più sotto troverete gli articoli con i link alle pubblicazioni; presto andrò alla trasmissione di Sergio Nava su Radio 24, per esporre ciò di cui parlo. Nel frattempo,  Buoni 150 anni a tutti.

Da una società feudale all’economia di relazione: come bloccare l’emorragia di Italiani all’estero. (II Parte)

IN OCCASIONE DEI 150 ANNI DI UNITA’ D’ITALIA   Link all’articolo su “L’Italiano”

Il 15 febbraio del 2001, forte di un budget di 2 milioni e 400 mila lire, con 4 fiammanti camicie di Fellini nel trolley,  un abito di lino bianco rattoppato ad arte e altro made in Italy che avrebbe blindato la mia bella figura oltreoceano, partivo per New York City con un unico contatto, l’indirizzo di una ragazza canadese che mi aveva offerto lavoro su internet. In quei giorni, ero ancora tecnologico come una merenda di monache, la parola laptop mi evocava un passo ippico e Roma aveva appena finito uno slalom tra i miei sogni come un cieco col bastone.

L’unico fatto che  mi fa sorridere di quel periodo erano i disegni che schizzavo su un diario brasiliano per  riassumere interi concetti, e della penna che ancora utilizzavo per fissare su carta stormi di pensieri.

Le ragioni del mio espatrio, già citate, si stagliavano su un background familiare  di  3 vicende roboanti e un caso umano straordinario legato a Steven Spielberg ma del quale ancora non parlerò. To sum it all up: avevo un papà attore in pensione, ex eroe degli spaghetti western, a far feste nel suo attico a Rio; una mamma inventrice che cercava di far partire il suo gioco di carte stampato e non distribuito da Dal Negro;  una iron-nonna che si nutriva di settimane enigmistiche in un monolocale sull’Aurelia dopo che la mafia le aveva bruciato tutti i vigneti in quel di Canicattì  per essersi sempre rifiutata sempre di pagare il pizzo, chapeau  e standing ovation.

In questa fine cornice  ero comunque riuscito a far  bingo come regista, ma qualcuno mi aveva poi rinchiuso in cella frigorifera col biglietto vincente della lotteria. 8 mesi ad aspettare sul letto che la produzione mi chiamasse dopo essere stato preso dal gran capo. 8 mesi di adesso partiamo e continui abort takeoff. Naturalmente avevo vagliato con freddezza anche altre  ipotesi lavorative…Ma le quasi 500 lettere che partirono da via delle Fornaci non ebbero alcuna risposta. Se chiudo gli occhi e mi concentro bene sono tutte lì, in fondo al Triangolo delle Bermuda, nella carlinga di un aereo da guerra, ancora sigillate. Poi una sera, dopo 7 mesi e mezzo di prove, mandai per sbaglio una e-mail negli USA e Il giorno dopo mi ringraziavano per averli contattati: “We think you’re suitable for a special mission”. Mi esplose in testa l’incipit del leit motiv di Superman e se  non piansi subito fu perché qualcuno mi stava bussando alla porta.

Addentai la mela in una giornata nevosa, diedi l’indirizzo a un tassista broccolino che mise subito K.O. tecnico il mio splendido british english e mi ritrovai con la coda tra le gambe in Uptown Manhattan a casa di una ragazzina canadese, mia datrice di lavoro e anfitriona. Si chiamava Anna Alpine,  mi cucinò al volo due anglospaghetti acquosi e mi spedii a letto con una tisana. Ancora non lo sapevo, ma quell’ appartamentino di 70 metri quadri era il primo quartier generale della World Youth Alliance.

Il giorno dopo, in poche ore avevo di nuovo  un compito, una roadmap, una deadline. Fui subito inserito in una squadra internazionale di coetanei: i mie nuovi amici si chiamavano Erik, Mark, Olivia, Gudrun e Melissa. Come gli X-Men, ognuno di noi era stato reclutato per un particolare talento. Come i Goonies, avremmo vissuto l’avventura della nostra vita. Altri personaggi incredibili, tipo Julie la ballerina mormona, si aggiunsero poco a poco alla squadra e io ridivenni finalmente quel macbook pro a piena carica che ero sempre stato. La World Youth Alliance era un’organizzazione no-profit apolitica nata per l’esaltazione della dignità della persona umana, il mio compito sarebbe stato quello di realizzare un documentario sulla “straordinarietà dell’Infanzia”, lavoro che avremmo dovuto presentare durante una speciale sessione ONU  l’11 Settembre di quell’anno. Tuttavia, prima di girarlo, Anna voleva che capissi come funzionavano le United Nations, per censire le varie sensibilità, e iniziai dunque a prendere parte a ogni possibile riunione, comitato, pranzo e tè pomeridiano. Presenziai per due mesi anche  alla scrittura di quegli altisonanti documenti composti in real time su schermo gigante, dove per mettere d’accordo tutti si scrivevano cose pazzesche. Era la beffa planetaria del politically correct, quel non offendere nessuno mettendo tutti nel sacco. Sessioni infinite sul gender equality, ridiscussione totale sul ruolo della famiglia tradizionale.

Ogni mattina uscivamo su Seaman street diretti in metropolitana per le Nazioni Unite, io nel tragitto ingannavo il tempo facendo caricature ai viaggiatori che poi regalavo agli stessi; dalle 6 del pomeriggio in poi, dopo il lavoro, inchiodavamo la teoria alla vita. Senza diarchie. La World Youth Alliance metteva in pratica lo statuto a 360 gradi, la visione della Culture of Life si traduceva organicamente in fine settimana indimenticabili. Dal venerdì alla domenica sera era un esplosione di cocktail, cene, dopocene, teatri, vernissage, musei, serate a casa di,  feste a casa da e passeggiate a Central Park con tazzoni di caffè antineve. Anna era la fondatrice e a quel tempo anche la presidente, ma FACEVA RUOTARE ogni RESPONSABILITA’, senza il terrore che la sua autorità ne venisse intaccata. Adesso opera esclusivamente come  fondatrice, perché nella WYA per statuto si può esser presidenti solo sino a trent’anni, e l’ufficio non è più a Seaman street  ma si è spostato in un glorioso edificio vicino al Palazzo di Vetro, grazie a una generosa donazione : 3 interi piani dove giovani di tutto il mondo vivono e lavorano, cambiando di anno in anno.

L’esperienza finii. Tornato in Italia iniziai ben pagato un lavoro da regista in una nuova produzione romana, conobbi in un pub una cantante neozelandese con la quale mi misi insieme e, per una ragione che spiegherò solo a a voce a chi sarà interessato, l’undici settembre del 2001 non presenziai alle Nazioni Unite col mio documentario sull’infanzia ma lo spedii da Londra: la provvidenza, mi aveva intercettato a metà strada.

Economicamente avrei invece gongolato ancora per qualche mese, perché i dignitosissimi 3 milioni di lire che ricevevo di stipendio si sarebbero presto trasformati in amari 1500 euro mensili. Dal quel collasso economico si salvarono in pochi, una mia amica finì a mangiare alla Caritas ed esplose un’inflazione psicologica che fu in parte dettata da un gran numero di ristoratori e negozianti. Ciò che costava 1000 lire e che lo Stato garantiva valere 50 centesimi, si era trasformato ovunque in un euro. Una pizza da diecimila lire, era diventata pizza da dieci euro. E noi quelle ventimila lire travestite le pagavamo tutti, zitti e conniventi, per continuare a far bella figura. Quando negli Stati Uniti anche un Rockfeller vedendosi appioppato una margherita da 10 euro avrebbe preferito non pagare e alzarsi, per dignità. Perché anche i  Rockfeller  hanno un’etica nonostante tutto. Questo fu il nostro errore: noi non ci alzammo da tavola ma mettemmo sul tavolo quelle 10 euro.

Se l’impegno numero uno dell’Italia è di bloccare la crescita umana, spirituale e fisica dei suoi figli, beh, HOUSTON ABBIAMO UN PROBLEMA. O elaborate e ci spedite subito una mappa per rientrare, oppure saremo costretti a rimanere fuori orbita. Se la crescita in Italia è zero,  le aziende non rispondono alle e-mail, le carte sono già state distribuite  e la principale preoccupazione di un cittadino è non prendere una multa alla macchina per non avere la concessionaria per la riscossione dei tributi che avvia ipoteche sulla casa con lettere agghiaccianti, MAYDAY-MAYDAY. E se per mettersi in proprio e avviare una S.r.l. lo Start-up è calare 3500 euro dal notaio contro i 1000 della Germania, i 150 della Francia e i 135 GBP del Regno Unito (www.doingbusiness.org), Opss…Presidenti Napolitano, Berlusconi, Fini, leader tutti, Signori Marcegaglia e Montezemolo, MI COPIATE?

In questo  momento storico, i giovani italiani senza conoscenze alle spalle sono stati  messi al muro dal loro stesso paese. Davanti ad essi il plotone d’esecuzione dei finti dibattitti televisivi sulla meritocrazia che non spostano di un millimetro il problema ma che li tengono buoni. Le televisioni nazionali continuano involontariamente a depistare gli Italiani e da Sposini, Giletti, Santoro e Fazio si parla di caste e baronati senza capire che con la  struttura mentale attuale  persino la più un’innocua delle onlus rischia di diventare nel tempo un feudo impenetrabile.

Siamo  in una società feudale avanzata, l’economia di relazione che in America scatta automaticamente per curiosità, qui entra in funzione solo alla luce di un sicuro do ut des, dopo che la gente si è fatta un’ idea esatta della geografia di convenienze che hai dietro le spalle, perchè speriamo sempre in “un qualcosina in più”, senza comprendere che la convenienza immediata è l’essere umano che ti tende la mano. Una mentalità che ha polverizzato su tutto il territorio nazionale, in qualsiasi ambito lavorativo, ogni possibilità di ricambio generazionale.

Sono ormai sicuro non sia più corretto parlare astrattamente di fuga di cervelli, perché l’Italia continua a esser piena di persone intelligentissime. Ognuna al suo posto.  La fuga di cervelli non esiste, è linguaggio da Nazioni Unite,  cumpunto e tronfio, qui siamo in presenza di un’emorragia di esseri umani. La traiettoria della semantica è importante, parlare di fuga di cervelli ci fa pensare con distacco a un antipatico gruppo di nerd che scappano da Nuoro, ma considerare un’ emorragia di esseri umani, beh, questo concetto dovrebbe mettere in moto la nostra umanità.

Perché o diventiamo generosi come gli italoamericani a NYC che dopo averti conosciuto hanno il bisogno fisico di sapere  se hai un lavoro e in caso negativo ti iniettano nella società e diventi un player, oppure mia moglie ha avuto ragione a far nascere nostra figlia in Germania. O iniziamo a vedere un giovane di 18 anni come un uomo con un suo ruolo unico da svolgere e ci impegnamo tutti per farlo decollare dall’Italia per l’Italia, o avremo  già decretato la sua morte civile e tra noi e Cosa Nostra, signore e signori,  non ci sarà alcuna differenza.

Non c’è più tempo di fare bella figura nè di rimboccarsi le maniche. Così come siamo, nel modo in cui ci troviamo, dobbiamo solo iniziare un clamoroso cambio di mentalità e atteggiamento. Dobbiamo iniziare tutti a grondare una generosità che si è incattivita nel tempo, rinchiusa come è stata nelle segrete dei nostri feudi.

PASSO.

E da qualche parte mi aspetto un ROGER.

Con amore e gratitudine per per il paese dove sono nato, per i suoi 150 anni d’unità.

Manuel de Teffé

mdeteffe@me.com